Il Recovery Fund è il fondo europeo per la ripresa del valore di 750 miliardi di euro che l’Unione europea ha messo sul tavolo per sostenere i Paesi colpiti dall’epidemia, di cui 390 miliardi a fondo perduto e 360 di prestiti. Uno strumento storico per sostenere l’economia dell’intero Vecchio continente nella crisi più dura dal Secondo Dopoguerra. Dei 750 miliardi, all’Italia dovrebbero spettare ben 209 miliardi (82 di trasferimenti e 127 di prestiti), da impegnare entro il 2023 ed essere investiti entro e non oltre il 2026. L’importante questione da risolvere è l’impiego di tale ingente quantità di denaro, basandosi sulle linee guida stabilite dalla Commissione europea. Negli altri paesi europei con quello che viene chiamato Next Generation Eu si punta su formazione, istruzione, infrastrutture, innovazione tecnologica, ambiente, con una visione di sistema-Paese, piuttosto che al finanziamento di singoli progetti. In Italia si sta ancora pianificando la struttura precisa degli interventi. È importante specificare che l’elargizione di una così cospicua cifra di denaro è subordinata alla capacità di formulare un programma di ampio respiro, in grado di proporre cambiamenti radicali a medio e lungo termine.
Serve una visione d’insieme anche per la regione Friuli-Venezia Giulia. Non solo per avere un’adeguata forza contrattuale nelle interlocuzioni con il Governo, ma anche per coinvolgere le varie istanze provenienti dal territorio. Leggendo gli interventi sui giornali e partecipando ad incontri e convegni delle categorie economiche, delle università e non solo, si può stilare una lista di politiche pubbliche che potrebbero essere finanziate proprio con i fondi del Recovery Fund.
A cominciare dal Capoluogo di regione, Trieste, si potrebbe iniziare con forti investimenti nel suo porto e nelle sue infrastrutture. Il porto di Trieste è oggi il primo porto d’Italia per volumi totali e traffico ferroviario: la piattaforma logistica nasce per rispondere al trend di crescita del traffico merci dello scalo, ma è prevista anche l’integrazione della stessa con le aree circostanti, alla luce del recente Accordo di programma del Ministero dello Sviluppo economico. Un porto efficiente, facile da raggiungere e potenziato dai recenti accordi stipulati con Amburgo, rappresenta una concreta opportunità per le aziende di tutta la regione. Il progetto di riconversione industriale e sviluppo produttivo coinvolge l’area della ferriera di Servola al fine di realizzare un polo logistico sostenibile a servizio del porto e dell’economia del territorio. Sull’ex area a caldo si svilupperà inoltre il raccordo ferroviario che potrà accogliere treni completi da 750 metri e uno snodo autostradale diretto sulla grande viabilità.
Ridurre il divario digitale e garantire a tutte le cittadine e a tutti i cittadini del Friuli-Venezia Giulia, nonché alle imprese operanti sul territorio, servizi digitali efficienti è uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU. In Italia esiste già dal 2015 un piano strategico per lo sviluppo della banda ultralarga, ma la necessità di connessione veloce è emersa prepotentemente nel corso della crisi pandemica. “Università, laboratori di ricerca, investitori, imprese ed enti locali puntano alla connettività che è una leva fondamentale per accelerare la digitalizzazione delle aziende, ma anche dei cittadini e delle amministrazioni pubbliche, una condizione indispensabile per preparare un futuro che ci vedrà sempre più connessi – ha commentato sulla stampa Sergio Paoletti, presidente di Area Science Park. – Nello specifico delle nostre necessità sarebbe ottimale essere collegati alla dorsale Torino-Bari, che raggiungerebbe Trieste passando per lo snodo di Bologna e per Padova, per far viaggiare ancora più velocemente le informazioni e sfruttare appieno le capacità di gestire una grande mole di dati e di calcoli”.
Oltre che infrastrutture come il porto di Trieste e la rapida digitalizzazione del pubblico e del privato, ci deve essere spazio anche per l’ambiente, in tempi così burrascosi di cambiamenti climatici. Il rischio idrogeologico in Friuli-Venezia Giulia, nonostante se ne parli relativamente poco, è molto elevato. Le cause, che rendono il territorio frequentemente oggetto di fenomeni quali frane ed esondazioni fluviali, sono molteplici, di natura geologica, morfologica, orografica e climatica (per capirne gli impatti disastrosi basti ricorda la tempesta Vaia di qualche anno fa). Dovrebbero essere svolti, almeno per iniziare, studi approfonditi su sistemi per drenare le acque in caso di tempeste, in modo da evitare i danni di allagamento. Non c’è più tempo: bisogna fare un salto di qualità nel mondo della ricerca universitario, che sempre più deve essere faro di speranza in tempi così difficili.
L’importante, insomma, è che i soldi dall’Unione europea siano spesi bene, anche in Friuli-Venezia Giulia. È forse troppo chiederlo, da semplice cittadino contribuente?
di Daniel Baissero