I morti di fama sono quelli che esistono, o esistono meno, in proporzione al numero di “mi piace”. È la filosofia, non nuova, che regola il fenomeno da anni all’attenzione di sociologi e antropologi e che Giovanni Arduino, scrittore e traduttore, e Loredana Lipperini, scrittrice e giornalista, affrontano nel libro “Morti di fama. Iperconnessi e sradicati tra le maglie del web”, edito per Corbaccio nel 2013. Ebbene si, il nuovo millennio ha già la sua piaga caratterizzante, un fenomeno sociale e culturale ormai così largamente diffuso che rientra a pieno titolo nella normalità: una necessità indiscriminata di apparire, mettere in pubblico la propria persona, la propria vita e le proprie abitudini alla ricerca spasmodica della visibilità, poco importa se solo per i famosi 15 minuti di Andy Warhol. Perché se una volta, con il cinema e la tv, la fama era duratura e basata su talenti riconosciuti, oggi bisogna parlare ragionevolmente di microfama, una visibilità disponibile a tutti e che, lungi dall’essere solida, ingabbia “sotto il tendone da circo folle oceaniche che si creano un’identità e fanno di loro stesse un prodotto da promuovere, un marchio”, nonostante conseguenze non sempre positive che i microfamosi si trovano poi a dover fronteggiare (vedesi le vicende raccontate nel capitolo Corri, Leprottina, corri). Perché il metodo di valutazione per stabilire se un microfamoso è abbastanza famoso, è proprio quel like, quel retweet, che merita la totale abnegazione del proprio essere in favore dell’identità pubblica. Il risultato è uno scollamento dalla realtà concreta, in funzione di una vita tutta virtuale, nella convinzione che da essa possano derivare gioia, successo e ammirazione.
Gli autori affrontano quindi il mondo del Web, regno dei microfamosi, legati a doppio filo con Youtube, Social Networks e Blog, ma anche la sfera letteraria, dove prolificano scrittori che ricorrono al self-publishing, al ruolo, guarda caso, strategico dei book blogger, pagando per recensioni positive o acquistando da sé i propri libri per renderli best sellers.
Non siamo nuovi a perfetti sconosciuti che in poco tempo guadagnano le luci della ribalta proponendo la ricetta perfetta per la crostata di mele o il modo più efficace per rimuovere i segni del tempo sul volto, conquistando prima il pubblico e poi le grandi aziende, che, fiutando l’occasione di guadagno economico, li eleggono a immagine dei propri prodotti. C’è da chiedersi, a questo punto, cosa fa presa sul pubblico, perché un blogger “sfonda” e un altro rimane nell’oblio. L’ingrediente, spiegano gli autori, è l’immedesimazione, la convinzione che sia possibile per tutti raggiungere gli stessi risultati.
Eppure, se il fantastico modo del Web può innalzare perfetti sconosciuti a famosi, il passo per cadere nell’oblio è davvero breve da compiere. È sufficiente un commento errato, una parola sbagliata, e si finisce nelle grinfie degli haters, la cui politica è quanto mai banale: sfruttare la popolarità altrui per alimentare, di riflesso, la propria, applicando non la critica costruttiva ma l’odio, fino a sfociare in episodi che dal mondo virtuale approdano al mondo reale.
In conclusione, Morti di fama ci dice che in fin dei conti tutti noi, nessuno escluso, siamo degli iperconnessi alla ricerca, più o meno consapevole, di notorietà.
di Marina Rossini