Tributo alla giornalista Daphne Caruana Galizia uccisa in un attentato dinamitardo nel 2017 © Dan Kitwood / Getty Images
Il rapporto 2020 del network internazionale di Reporters Sans Frontières evidenzia come il Covid-19 abbia conseguenze importanti e negative sulla libertà di stampa, soprattutto in alcune nazioni, e spiega perché il prossimo decennio sarà decisivo per il giornalismo.
La pubblicazione del World Press Freedom Index 2020 di Reporters Sans Frontières viene commentato così da Christophe Deloire, segretario generale del network: “Stiamo entrando in un decennio decisivo per il giornalismo. Anche a causa della crisi del coronavirus”. Il documento, che riporta la classifica mondiale delle nazioni più virtuose per il diritto all’informazione, è stato pubblicato a ridosso della Giornata mondiale della libertà di stampa, celebrata il 3 maggio in tutto il mondo. Il risultato evidenzia come la pandemia da coronavirus sia stata usata da molti Stati per imporre misure restrittive e esercitare pressioni sugli organi di stampa, controllando le informazioni nel tentativo di coprire le responsabilità dei governi.
Il lascito dello shock globale causato dall’epidemia di coronavirus è ben lontano dall’essere superato, ma soprattutto non è limitato alle conseguenze che diffusamente vengono riconosciute. L’insieme delle crisi innescate, da quella geopolitica che vede regimi autoritari sempre più aggressivi nei confronti dei giornalisti, a quella tecnologica, in cui la comunicazione digitale, poco regolamentata, getta nel caos il settore dell’informazione, ma anche la crisi economica che impoverisce la qualità del servizio giornalistico, fanno si l’accesso alla libera informazione sia in serio pericolo.
La mappa, riportata nel rapporto, mostra quali siano le nazioni in cui abusi e violazioni alla libertà di stampa siano aumentate, con condanne arbitrarie e minacce al settore giornalistico sempre più evidenti, secondo l’indice di RFS. Tale parametro viene calcolato attribuendo a ogni paese un punteggio tra 0 (situazione ottimale) e 100 (situazione fortemente critica) sulla base di criteri quali pluralismo, indipendenza dei media, quadro legislativo, trasparenza e livello di violenza contro i giornalisti.
L’indice della libertà di stampa: in nero le nazioni con i risultati peggiori, in bianco le più virtuose
I Paesi scandinavi si posizionano in testa, con il migliore stato di salute del settore dell’informazione, confermando una tendenza già in atto. In generale, riporta il documento, il livello di libertà dei media in tutto il mondo è migliorato di 0,9% nell’ultimo anno, ma rispetto al 2013 si vede un peggioramento del 12%. Anche le posizioni di coda si confermano, con la Corea del Nord, il Turkmenistan, la Cina (al 177° posto su 180), e l’Iran. In Iraq, la stessa agenzia di stampa Reuters ha visto revocarsi la licenza per tre mesi. Più in generale, il 24% dei 180 paesi analizzati ha registrato un livello di libertà di stampa positivo o soddisfacente, perdendo 3 punti percentuali rispetto al 2017.
Analizzando brevemente situazioni specifiche in vari paesi del mondo emerge la seguente situazione:
l’Iraq e l’Iran vedono situazioni simili. Il primo Stato, come già anticipato, mette al bando la stampa internazionale, tra cui Reuters, come ritorsione delle accuse mosse al governo di sottostimare il numero di vittime da coronavirus. Nel vicino Iran sono stati arrestati già al 26 febbraio 30 persone, accusandole di diffondere notizie false sull’emergenza e assicurando di avere tutto “sotto controllo”, mentre la realtà vede lo Stato come uno dei più colpiti nelle prime fasi dell’emergenza.
La Thailandia fa il paio con le Filippine: nel primo Paese la diffusione di notizie “false” o “capaci di causare panico e allarmismo”, soprattutto se legate all’emergenza sanitaria in corso, è punibile con la detenzione fino a 5 anni. Lo stesso avviene sotto il governo del presidente filippino Duterte, che dopo aver concentrato poteri speciali nelle sue mani, ha previsto il carcere per chi fornisce “notizie false”. Cosa sia falso e cosa no, però, in entrambi i casi è stabilito a discrezione del governo.
L’atteggiamento in Turkmenistan e Bielorussia è simile, in entrambi i casi si predilige il negazionismo da parte del governo: nel primo caso è punibile anche solo pronunciare la parola “coronavirus”, evitata anche nelle comunicazioni ufficiali; nel secondo paese il premier Lukashenko ha affrontato la situazione dando libero campo alla diffusione dell’emergenza, affermando che la “psicosi” è più pericolosa del virus stesso. Alla luce dei recenti avvenimenti in Bielorussia, tuttavia, che la libertà di stampa in questo Paese non goda di buona salute non stupisce nemmeno un po’.
Anche il presidente brasiliano Bolsonaro ha fronteggiato la pandemia negandone la gravità, accusando gli organi di informazione di creare panico inutilmente, mentre il ministro della Salute brasiliano ha definito la stampa nazionale “tossica”. Chissà se la positività al virus gli ha fatto non solo cambiare idea, ma anche atteggiamento nei confronti della libera informazione da promuovere.
L’agenzia Reuters, per quanto riguarda la Russia, denuncia il tentativo di zittire la stampa, costringendo i giornali a censurare gli articoli e avvelenando la stampa estera con dati non veritieri.
Sempre secondo Reuters, la situazione di censura in Cina è una delle cause dell’enorme diffusione che il virus ha avuto, perché la popolazione non è stata messa in condizioni di capire il reale pericolo. L’espulsione di 13 giornalisti americani è la prova che raccontare scrupolosamente e approfonditamente l’evoluzione della pandemia in Cina non era nei piani di Xi-Jinping.
La situazione in Europa
L’Europa risulta essere l’area più sicura per la libera informazione, considerata positiva e soddisfacente secondo l’indice RFS, ma sono in aumento i casi di attacchi e minacce a giornalisti e reporter.
La situazione ungherese è ritenuta la peggiore in Europa, con Viktor Orban che ha sferrato un vero e proprio attacco alla democrazia con la copertura dell’emergenza sanitaria. Nei suoi accresciuti poteri rientra anche un bavaglio imposto alla stampa, rendendo punibile con la detenzione fino a 5 anni chiunque diffonda notizie ritenute “false” sulla gestione dell’emergenza. Anche in questo caso, pare che sia falso tutto ciò che non corrisponde alle posizioni del governo.
Malta, 81° posizione in classifica, ha visto uccidere Daphne Caruana Galizia, giornalista colpevole di aver svelato un sistema di riciclaggio di denaro sporco; in Slovacchia, 33° in classifica, un giornalista è stato ucciso per le inchieste condotte su infiltrazioni della ndrangheta, nonché su interessi criminali legati a fondi europei per l’agricoltura.
La stampa italiana, stato di salute in allarme
L’Italia ha visto la sua posizione migliorare di due gradini nella classifica 2020, ma il network internazionale pone l’attenzione sugli oltre 20 giornalisti posti sotto protezione. George Foulkes, Relatore del Comitato sulla cultura, la scienza, l’educazione e i media dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, nel rapporto presentato a gennaio 2020 parla dell’Italia come uno dei Paesi con la classe politica più ostile nei confronti dei giornalisti, in particolare da giugno 2018 ad agosto 2019, ma le minacce arrivano anche da organizzazioni di stampo mafioso e da parte di gruppi neofascisti.
Il Parlamento Europeo e la tutela della libertà di stampa
La Carta dei diritti fondamentali dell’UE e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo sanciscono la libertà di espressione, libertà di stampa e pluralismo. I mezzi d’informazione stanno fronteggiando una crisi economica notevole a seguito della pandemia, con ricavi pubblicitari molto ridotti. Il peggioramento della situazione finanziaria, secondo gli eurodeputati, può compromettere le capacità delle agenzie di informazione, spingendoli a chiedere alla Commissione di valutare l’istituzione di un fondo di emergenza per i media e la stampa, con un primo stanziamento di 5,1 milioni di euro finalizzati all’identificazione e prevenzione di violazioni alla libertà di stampa.
di Marina Rossini