La presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, ha annunciato nel suo intervento di chiusura all’ultima seduta plenaria del Parlamento europeo che a breve sarà presentato un nuovo piano per la gestione della migrazione. Verrà abolita la Convenzione di Dublino per dare spazio ad un nuovo sistema di governance. Questo nuovo patto sarà un primo passo verso una politica europea comune di gestione dei flussi migratori.
Le norme vigenti relative alla convenzione di Dublino, infatti, prevedono che le richieste di asilo dei migranti debbano essere prese in carico dal primo Paese d’ingresso in Europa del migrante, quindi nella maggior parte dei casi dai paesi di frontiera del Mediterraneo, come l’Italia. Ciò comporta che questi Stati si trovino a gestire da soli situazioni troppo complesse. L’obiettivo della revisione è dunque la redistribuzione, perché il sistema attuale ha alimentato le tensioni tra gli Stati membri.
In particolare, uno Stato dell’Unione europea potrà richiedere l’intervento della Commissione nel caso in cui si presenti una di queste situazioni: pressione migratoria o previsione di una pressione migratoria, crisi migratoria grave, o sbarco di persone soccorse in mare. A ciò seguirà l’obbligo di intervento della Commissione a sostegno dello Stato. I Paesi membri dell’UE potranno scegliere come intervenire. Si potrà offrire accoglienza ad un certo numero di richiedenti asilo arrivati nel Paese di frontiera, oppure si aderirà al programma cosiddetto di “return sponsorship”, ovvero finanziare i rimpatri che saranno operati dal Paese di frontiera.
Il nuovo piano prevede anche la velocizzazione delle procedure per la valutazione della richiesta di asilo, che non dovrà superare i cinque giorni per accertare chi abbia diritto a chiedere asilo e chi debba essere rimpatriato. A tal proposito, si stilerà una lista di Paesi terzi considerati sicuri e i migranti provenienti da essi non saranno ammessi alla procedura di asilo, bensì velocemente identificati come “rimpatriabili”.
La procedura per la richiesta di asilo, invece, non potrà durare più di 12 settimane e se dopo otto mesi il rimpatrio non è stato possibile, i paesi saranno costretti ad accogliere definitivamente.
Sebbene la revisione del Patto di Dublino sia un passo avanti nell’aiuto ai paesi di frontiera nella gestione dei flussi migratori, essa ha suscitato molte critiche. Se Conte lo definisce “un importante passo verso una politica migratoria davvero europea”, i Paesi del blocco Visegrad e l’Austria rimangono contrari alle redistribuzioni, perché non esistono quote precise di ricollocamento né sanzioni per chi non rispetta le regole. In secondo luogo, il nuovo sistema non mette in discussione la caratteristica principale del regolamento di Dublino, cioè la responsabilità del Paese d’ingresso. Infine, non sono previste strategie a lungo termine per regolare l’ingresso legale nell’UE da Paesi extraeuropei per ragioni umanitarie, economiche o di studio.
Sebbene l’UE abbia ribadito che il suo principio guida è di “salvare vite”, un principio che, ha detto, “non è un’opzione”, Bruxelles ha deciso di investire le sue risorse sul rafforzamento delle frontiere esterne, sui rimpatri e sugli accordi con i paesi di origine e di transito per bloccare le persone che provano a raggiungere l’Europa. Infatti, si aggiunge un maggiore controllo dei confini: Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, sarà rinforzata in modo da poter fare subito un’identificazione puntuale di tutte le persone che sbarcano con un’operazione di salvataggio o attraversano le frontiere dell’Unione Europea senza autorizzazione. L’ONG Oxfam ha accusato la Commissione di “essersi inginocchiata davanti ai governi sovranisti”, mentre per l’ong EuroMed Rights, l’Unione europea diventerà “un’agenzia di viaggio per i rimpatri”.
La crisi migratoria del Mediterraneo risale al 2013, quando migliaia di persone, in fuga dalla guerra e dalla miseria, sono arrivate alle porte dell’Europa. Il picco è stato nel 2015 e l’UE ha attuato misure di controllo delle frontiere esterne e dei flussi migratori. Da allora gli arrivi irregolari nell’UE sono diminuiti del 90%, ma le divergenze tra gli Stati Membri sono aumentati.