Qual è la percentuale di disoccupati? Quanti soffrono di diabete? Quanti sono gli immigrati? Molto probabilmente, la risposta che vi è venuta in mente è sbagliata. Ma perché?
A questo quesito risponde Bobby Duffy, professore presso il King’s College e direttore del centro Policy Institute di Londra, nel libro “I rischi della percezione”, edito nel 2019 per Einaudi, a seguito di studi pluriennali su temi molto diversi tra loro condotti in circa 40 Paesi, compresa l’Italia. Il risultato è a tratti sconvolgente, perché a prescindere da fattori come età, livello di istruzione e ceto sociale, abbiamo una visione distorta praticamente di ogni aspetto della realtà e supponiamo, sbagliando anche questa volta, di conoscere bene anche l’opinione altrui. Eppure, con l’avvento di internet e dell’informazione sempre accessibile, saremmo portati a credere di essere capaci di formarci un’opinione oggettiva dei fatti. Niente paura, è solo un’illusione!
Il motivo, spiega Duffy, è che tendiamo a valutare e prendere decisioni in base a quello che sappiamo e ciò che sappiamo è costituito da concetti plasmati dalle percezioni, neanche a dirlo errate, del mondo che ci circonda. Il meccanismo è semplice: meno le persone hanno strumenti per comprendere la complessità degli eventi, più hanno la necessità di sentirsi adeguati e rassicurati su di essi, cercando spiegazioni semplificate e semplicistiche, facilmente comprensibili perché fanno leva sulla sfera dell’emotività.
Duffy, a tal proposito, riporta diversi concetti sul modo in cui il nostro cervello funziona:
-l’emotional innumeracy, ovvero una fisiologica ignoranza numerica legata alle emozioni, che ci rende spesso impossibile distinguere causa ed effetto di un evento: se sovrastimiamo un fenomeno è perché ci preoccupa, o ci preoccupa perché lo sovrastimiamo?
-il pregiudizio di conferma, ovvero la tendenza a scartare automaticamente i dati non allineati alle nostre opinioni e la necessità di cercare informazioni che supportino le nostre idee e a discuterne solo con persone con opinioni affini.
-i fatti negativi ci attirano più dei fatti positivi, causa prima della sovrastima di alcuni fenomeno sociali, come l’immigrazione, la criminalità o il tasso di adolescenti che partorisce ogni anno (gli Americani, per esempio, stimano che la percentuale di ragazze in stato interessante tra i 15 e i 19 anni sia del 24% ogni anno, il dato reale è del 2.1%). Questo avviene perché le notizie negative hanno una carica emozionale molto più alta di quelle positive, a cui si aggiunge la “visione rosea del passato”, secondo cui tendiamo a considerare il passato migliore del presente.
In conclusione, Duffy spiega che la “dissonanza cognitiva” scaturisce dal fatto che le informazioni contrarie alle nostre idee ci destabilizzano e che la nostra identità e il modo in cui vediamo la realtà sono interconnessi. Per questo, anche quando siamo messi di fronte ai dati reali li rifiutiamo, non cambiamo la nostra idea ma anzi cerchiamo altre fonti per confutare la realtà, a nostro sostegno.
In conclusione, siamo esseri emozionali, per convincerci di qualcosa non bastano mai i fatti, dati reali, numeri e studi scientifici, bisogna che ci venga raccontata una storia che smuova le nostre emozioni, e molto probabilmente ci crederemo.
di Marina Rossini